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Con la legge 6 maggio 2015 n. 55, nota come “divorzio breve”, l’Italia entra a pieno titolo nella globalizzazione sistemica e sulla scia della più “evoluta” legislazione americana, riduce notevolmente i tempi per porre fine alle unioni matrimoniali. Sarà più facile dirsi addio: basteranno dodici mesi di separazione  (sei se c’è il consenso dei coniugi) per presentare l’istanza di divorzio al presidente del Tribunale competente.

Lo scioglimento della comunione dei beni decorrerà dall'autorizzazione del giudice alla separazione consensuale con conseguente annotazione nei registri di stato civile.

La legge, che entrerà in vigore il prossimo 26 maggio, retroagisce anche sui procedimenti in corso ma non ancora conclusi.

Se non ci sono figli minori o figli maggiorenni incapaci o con handicap grave, l’accordo di separazione personale, di scioglimento del matrimonio (a seguito di pronuncia giudiziale sulla separazione), così come l’accordo che modifica le condizioni di separazione o di divorzio può essere presentato, anche senza l’assistenza di un legale, al Sindaco del comune di residenza di uno dei due coniugi. Interviene in tal caso la disciplina dell’art. 12 D.L. 132/2014, convertito nella legge 162/2014, pioniera del divorzio breve.

Per i Sindaci-ufficiali di stato civile, si moltiplicano i compiti: dopo aver unito in matrimonio toccherà loro raccogliere le istanze rescissorie dei coniugi passando in breve tempo da una giornata festosa con applausi e chicchi di riso in testa, ad un'altra crepuscolare di segno diametralmente opposto.

Quando finisce un amore o quando l’unione fra due persone diventa intollerabile, è giusto che si metta la parola fine. Che dodici o sei mesi sia un tempo sufficiente per decretare sul piano giuridico la fine di un idillio dipende invece dalle singole storie e dall'esperienza maturata dai “contendenti”.

Forse un principio di forte civiltà giuridica, quale è lo scioglimento del matrimonio, dovrebbe essere controbilanciato, sul piano culturale, da un deciso rinnovamento dei valori dell’amore, della condivisione e della tolleranza. Ci si sposa troppo facilmente e spesso senza conoscersi o avere un progetto di vita comune che sia solido e condiviso. 

Una buona legge dovrebbe saper registrare le istanze e i comportamenti sociali e non essere precorritrice dei tempi specie se, come nel caso delle separazioni coniugali “a rito abbreviato”, l’accettazione del distacco non trovi ancora quella maturazione, sul piano sociale, di differenti e alternativi modelli di vita relazionali.

Molto si potrebbe (e si dovrebbe) fare sul piano dell’educazione a questi valori da parte delle Istituzioni a vario livello preposte. Penso ad esempio ai corsi pre-matrimoniali, per chi sceglie il rito religioso, frettolosi e artefatti che nulla aggiungono in termini di consapevolezza di ciò che dovrebbe rappresentare lo stare insieme.

Prometto di esserti fedele sempre,
nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia,
e di amarti e onorarti
tutti i giorni della mia vita.

Accade invece che l'alto valore spirituale di queste parole declini molto velocemente, sul piano dell’esperienza concreta, in una dialettica tra i coniugi altamente conflittuale e obliante di ciò che l'uno ha solennemente promesso all'altro.

Parafrasando a rovescio il titolo di un noto film di Pieraccioni, tutto si dissolve e si esaurisce in poche disarmanti esclamazioni:

I hate you! ..., Je te hais!..., Ich hasse dich!..., אני שונא אותך! ..., Wǒ hèn nǐ! ..., Te odio! ... , Ti odio! ...

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