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UNA VITA DIVERSA

LA LEGGEREZZA DELL'ESSERE

E’ uno dei capitoli del mio romanzo “La prossima vita”. Riporto una parte dell'episodio in cui Cinzia, moglie di Leo, accetta di posare per il marito nel ritratto ispirato alla Venere di Botticelli.

…Intanto si era seduta ai piedi del letto, proprio di fronte a me, e aspettava che le facessi segno di incominciare come un bambino buono e paziente. A quel punto le chiesi:
-“Vorrei vederti con i capelli bagnati. Potresti accontentarmi?”-
-“I capelli bagnati? E perché?”-
Scesi dal letto e infilai la vestaglia; poi presi una delle tele appoggiate sotto la finestra e la collocai sul cavalletto.
-“Non intendo eseguire la riproduzione della Venere di Botticelli. Oltretutto non ne sarei capace. Quando ti ho portata alla Galleria volevo semplicemente che tu capissi l’idea che mi ha ispirato questo dipinto.”-
-“La malinconia…”-
-“Esatto! Botticelli l’ha voluta rappresentare recuperando i valori della mitologia classica, sotto l’influenza della sua cultura umanistica. Devi sapere che Botticelli convisse con la malinconia praticamente per tutta la vita. Si direbbe che questa particolare condizione d'animo sia stata una costante della sua esistenza e, alfine, l’abbia in un certo senso consumato. Ma nel mio caso rappresenterò la malinconia in maniera molto ‘moderna’, e tu sarai l’interprete principale.”-
-“Io?”-
-“Sì. Vorrei vedere in te la donna che sei stata un tempo.”-
-“Ma io non sono cambiata! Forse sei tu che mi vedi diversa.”-
-“Può darsi. Vorrà dire che questo quadro servirà soprattutto a me che, evidentemente, non riesco a vederti come una volta.”-
Cinzia stette un attimo in silenzio, poi mi chiese di nuovo se era proprio necessario bagnarsi i capelli. Notai che ci teneva in modo particolare alla sua acconciatura, come se temesse seriamente di vederla stravolta dalla mia richiesta. Risposi ancora di sì, aggiungendo che a lavoro finito si sarebbe capito il motivo.
Senza più protestare, Cinzia andò in bagno e ritornò qualche minuto dopo con i capelli sciolti, completamente bagnati, sempre avvolta dall'asciugamano.
-“Adesso, per favore, potresti toglierti l’asciugamano e coprirti con le mani i seni e il ventre?”-
Mi ero seduto sullo sgabello e avevo già iniziato a dipingere lo sfondo: un cielo grigio, appena interrotto da un’apertura da cui sprigionava la luce riflessa del sole. Anche questa volta Cinzia eseguì la mia richiesta senza fiatare. Proprio come la Venere di Botticelli, mia moglie si era coperta con il braccio destro i seni ampi e lattiginosi e con la mano sinistra teneva nascosto il ventre.
Aveva la pancia che, nonostante la gravidanza, non era molto prominente ma lasciava intravedere ugualmente la forma circolare che dal busto si estendeva fin sotto il bacino.  Sul fianco destro era ancora visibile il segno di una cicatrice dovuta ai postumi di un intervento all'appendice. Adesso Cinzia mi guardava un po’ impacciata e aspettava che  le indicassi il punto esatto dove posare.
-“Mettiti lì, all'angolo tra la porta e il comò. Ti avverto che questo lavoro sarà solo una bozza. Lo completerò poi nei colori e nei dettagli. Cercherò di non farti stancare molto.”-
Ripresi a dipingere con gli occhi ora rivolti alla tela e ora puntati su Cinzia. Di tanto in tanto le parlavo domandandole, ad esempio, che cosa fosse per lei la malinconia e se si era mai trovata in questo stato d’animo. Diversamente dal solito, non ero pienamente avulso dalla realtà, e il fatto che in quel momento interloquissi con mia moglie me ne dava ulteriore conferma. Sentivo però il bisogno di coinvolgere Cinzia, almeno con le parole, in quel percorso interiore che altrimenti non avrebbe capito. Del resto per lei si trattava di un’esperienza nuova e non potevo pretendere che, di punto in bianco, condividesse spontaneamente quelle sensazioni che, grazie alla mia naturale predisposizione, ero abituato a sentire. Quindi, la interrogavo per guidarla passo dopo passo nel mio mondo.
-“Prova a descrivermi che cos'è per te la malinconia.”-
Avevo finito con il contorno del viso ed ero passato a tracciarne i lineamenti.
-“Non saprei proprio. A volte si è malinconici, a volte no. Credo che sia un fatto naturale.”-
-“Senza volerlo l’hai appena definita: la malinconia è, in un certo senso, una condizione naturale, direi umorale.”-
-“E’ un po’ come la tristezza.”-
-“Non è la stessa cosa. Ci si sente tristi sempre per un motivo specifico, per un fatto che è avvenuto e che ci ha fatto dispiacere. La malinconia, invece, è una condizione dell’animo effettiva, ma quasi mai causale. Si può essere malinconici e stare bene lo stesso.”-
-“Allora ti dico che non sono mai stata malinconica!”-
Fu una affermazione coerente con il carattere di Cinzia e perciò non mi sorprese.  Mia moglie non aveva bisogno di essere malinconica semplicemente perché non era portata ad esserlo. Sempre attenta a guardare le cose sul piano esclusivamente pratico, mia moglie non amava ‘sentire’ la vita ma preferiva viverla attraverso le azioni dettate dal luogo comune. Per lei parole come ‘bello’, ‘brutto’, ‘buono’ o ‘cattivo’, erano aggettivi dal significato puramente lessicale, che servivano a qualificare una cosa o una persona sotto l’accezione più comune e tradizionale. La malinconia, invece, è un qualcosa che richiede una definizione concettuale e introspettiva, e come tale, ben lontana dal modo di pensare di Cinzia. Per converso, io mi trovavo in una situazione del tutto opposta: non vivevo la vita, ma la sentivo e perciò non agivo se non per le sensazioni che la vita stessa mi trasmetteva.
Mi rendevo conto che il mio tentativo di portare Cinzia sulla mia stessa lunghezza d’onda era improbo e disperato. Contro di me si opponevano la diversa tradizione, cultura e formazione etica di mia moglie. Ciò nonostante la mia mano non se la sentì di 'abbandonare' il pennello ed era arrivata adesso a dipingere i fianchi di Cinzia. In un certo senso, mi sentivo come un eroe che affronta un’impresa già votata al fallimento. Ma non mi persi d’animo e continuai con le domande:
-“Mi hai detto che non sei malinconica. Questo vuol dire che sei soddisfatta della vita che fai?”-
-“Potrei esserlo di più. Ma mi accontento.”-
-“Ti accontenti?”-
-“Stiamo per avere un figlio. E questa è la sola cosa che conti. Scusa…possiamo fare una pausa? Sono un po’ stanca!”-
-“Solo un attimo… Ecco, adesso puoi muoverti.”-
Cinzia abbandonò subito la posa, ed io ebbi come la visione che tutta la sua figura uscisse dal quadro che stavo dipingendo e cominciasse ad animarsi. Adesso si era seduta sul bordo del letto e si toccava i capelli per controllare se erano ancora bagnati.
-“Devo ancora tenerli così, o me li posso asciugare?”-
-“Veramente preferirei vederti così, ma se ti dà noia possiamo sospendere e ricominciare domani.”-
-“No, no. Dicevo così per dire.”-
-“Davvero te la senti? Guarda che sono disposto anche a rimandare a un altro giorno.”-
-“Invece penso che sia giusto continuare. E’ così importante per te.”-
-“Perché, per te non lo è?”-
-“Ci tenevi così tanto ad avermi come modella, che alla fine mi sono convinta anch'io.”-
-“Allora l’hai fatto per me?”-
Mi ero seduto accanto a lei prendendole la mano, ma Cinzia la ritirò subito e si alzò di scatto. Senza voltarsi, rispose:
-“Uffa con queste domande! Non ti basta sapere che sono qui, ben felice di fare una cosa che ti fa tanto piacere?”-
In realtà era profondamente turbata e forse già pentita per essersi prestata a fare qualcosa che le procurava grande imbarazzo. Mi alzai anch'io e mi misi di fronte a lei. Era effettivamente nervosa; i suoi occhi lasciavano trasparire una tristezza cupa e rassegnata, si direbbe, quasi malinconica.
-“Se per te questa cosa è un sacrificio, al punto da farti stare così a disagio, allora è meglio interrompere subito.”-
-“Scusami,”- mormorò, -“ma il fatto è che fai troppe domande, e questo m’imbarazza. Adesso, se anche per te va bene, sono pronta a ricominciare.”-
Senza attendere risposta mi baciò sulle labbra ma con tutta fretta che le sfiorò appena. Quindi si mise nuovamente in posa e aspettò che riprendessi il mio posto. Tornai a sedermi sullo sgabello e afferrai il pennello:
-“Non ci vorrà molto.”-, le assicurai, -“E poi ti prometto che non ti farò più domande.”-
Cinzia aveva capito che stavo andando oltre e temeva di rivelare, sotto la spinta del mio interrogatorio, che il suo unico scopo era di tenermi lontano dall'idea di accettare la proposta di mio padre. Mi bastava però averle procurato quel disagio che tanto somigliava alla malinconia a cui volevo condurla. So che era soltanto una mia illusione, ma nella metafora di questo viaggio immaginario che avrebbe dovuto approdare alla riscoperta delle antiche emozioni di un amore che si stava spegnendo, io vedevo Cinzia come un bambino dispettoso che si rifiuta di tendere la mano per salire sull'autobus della scuola. Questa reticenza che in quel momento ascrivevo ad un atteggiamento logico e naturale di mia moglie, rafforzava ulteriormente la mia convinzione di proseguire in un progetto che io sapevo, invece, illogico e innaturale. Ma nello stesso tempo venni assalito dal dubbio che qualsiasi altro mio tentativo di stabilire con Cinzia quel rapporto sintomatico cui aspiravo, non sarebbe servito a niente. Erano due facce della stessa medaglia: da un lato volevo giustificare Cinzia in tutti i modi possibili, anche aggrappandomi a ragionamenti illativi e privi di qualsiasi riscontro concreto; dall'altro, mi pareva di essere arrivato ai limiti di questa illusione e mi sentivo un po’ come colui che, dopo l’ennesimo tentativo di far partire la macchina, si trova sul punto di estrarre definitivamente la chiave dall'accensione.
Nei meandri di questi pensieri, tra loro contraddittori e concorrenti, ero giunto all'apice della mia disperazione e, riprendendo l’esempio dell’azione eroica, adesso toccavo con mano gli effetti del suo fallimento. Questo stato d’animo mi spinse ad accelerare la conclusione del mio dipinto, così che dopo alcuni minuti mi rivolsi a Cinzia dicendole che il lavoro era finito e che poteva rivestirsi.
-“Posso vederlo?”-
-“Come ti ho detto è solo una bozza. Dovrò completarla nelle finiture, ma non preoccuparti. Non sarà più necessaria la tua presenza.”-
Dissi questo non dissimulando un atteggiamento che era, insieme, di delusione e di dispiacere per come si stavano mettendo le cose. In cuor mio speravo che Cinzia mi confermasse, quanto meno, la propria disponibilità a posare di nuovo, se mai ne avessi avuto bisogno. E invece si avvicinò al dipinto e lo esaminò come uno spettatore che, di fronte alla locandina di un film, s’interroga per capire se possa piacergli davvero.
Ma il film che avevo ‘realizzato’ era un pezzo della nostra vita che se ne stava andando e che io avevo voluto afferrare e imprimere sulla tela perché vi rimanesse per sempre: si trattava di un paesaggio marino, col cielo ricoperto di nuvole grigie che lasciava intravedere la luce del sole da un piccola apertura in alto sullo sfondo. Il mare, dal colore bluastro si apriva al centro come un vortice in cui sprofondava la figura di Cinzia, simile alla Venere di Botticelli, ma dai capelli bagnati per la pioggia e dallo sguardo cupo e malinconico.
-“E’ un quadro bellissimo,” osservò, “ma è molto triste!"-
-“Come la nostra storia!”-, mormorai.
Ma Cinzia fece finta di non sentire e proseguì:
 -“Mi hai fatto anche più bella di come sono. Davvero mi vedi così?”-
Avrei voluto rispondere che se solo avessimo usato di più la nostra immaginazione, ci saremmo visti non soltanto più belli ma anche più disponibili l’uno verso l’altro. E invece mi girai verso la finestra con le mani in tasca, in un atteggiamento che voleva dire resa più totale. Senza voltarmi le ripetei che era il caso che si rivestisse, tanto non c’era più motivo che rimanesse così. Cinzia, invece, si avvicinò alle mie spalle e cominciò ad accarezzarmi.
Quello che avvenne dopo lo ricordo ancora come se fosse ieri, forse perché fu la prima volta in cui io e mia moglie ci amammo con la consapevolezza che dopo non sarebbe stato più lo stesso. Cominciammo a baciarci con quella avidità tipica di chi si appresta a un lungo digiuno e per questo mette in serbo tutto il carico di emozioni, sperando che possa bastare durante l’astinenza. In pochi attimi rotolammo sul letto e Cinzia salì sopra di me, nella posizione a lei congeniale, fino a congiungersi in un rituale misto di piacere e di dolore. Dalla finestra filtravano i raggi del sole di quel tardo pomeriggio che si perdevano nei capelli di Cinzia e che la facevano apparire ancora più bella e desiderabile, proprio come la Venere di Botticelli.
Alla fine, Cinzia piegò la testa e si rovesciò su di me per l’ultimo e struggente abbraccio, mentre intorno a noi aleggiava quella malinconia che da lì in avanti non ci avrebbe più abbandonato.

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